Oggi sono pronta a consegnare il testimone ai miei colleghi. Sono pronta ad appendere il mio stetoscopio al chiodo, ma prima di farlo ho bisogno di parlare a tutti i medici in ascolto.
Il nostro essere medici inizia all’università con le lunghe notti a studiare , con le domeniche passate sui libri invece che uscire con gli amici, o alle estati in corsia a cercare di imparare quanto più possibile. Ricordo le alzatacce che ho fatto per fare prelievi con le infermiere e imparare a prendere anche le vene piu difficili, ricordo le intere giornate in reparto a fare cartelle o in sala di emodinamica. L’ospedale era il posto dove vivevo: andavo a casa solo per dormire. E ricordo il primo paziente che ho visitato, ero più spaventata io di lui, ero spaventata di non sapere che fare o di sbagliare. Ero giovane , piena di sogni con un futuro davanti. Ricordo le notti passate in un piccolo ospedale dove ero l’unico medico di guardia, ricordo la paura di sbagliare , di non essere sempre all’altezza e la paura di non riuscire ad aiutare chi ti guarda con la fiducia negli occhi. Ricordo quando ho pianto per il mio primo morto. Ma ricordo anche il mio mentore che in maniera dura, ma giusta, mi ha detto di andare avanti che ne avrei visti altri ma che ne avrei salvati molti di più. Il mio caro meraviglioso mentore e capo, con cui ho lavorato per più di 12 anni e ho imparato come fa un bambino : osservando e ascoltando. Con il tempo le paure sono diminuite , l’esperienza è aumentata ma la passione per questo lavoro non è mai calata, anzi forse si è radicata nell’anima perché nell’aiutare gli altri ho imparato molto: a essere più umile, a capire che non esiste un unico modo o un solo modo giusto di vivere. Ho imparato che aiutare gli altri ha aiutato anche me a diventare migliore. Pian piano per colpa di eventi incontrollabili della vita sono forse costretta ad abbandonare tutto questo, ma volevo parlare a te, a te medico , che continuerai a fare questo mestiere. Vorrei passarti la staffetta e per farlo ti prego di ascoltare la mia piccola e umile esperienza.
Lo so che è dura passare le notti tra chiamate, emergenze, che sono duri i sabati, le domeniche, le feste passate tra le mura dell’ospedale mentre i tuoi figli o tua moglie festeggiano senza di te. È dura quando un collega ti fa perdere un appuntamento per un ritardo o quando ti fa le scarpe davanti al capo. È un lavoro difficile non solo per questo ma perché tutti i giorni stai in mezzo alla sofferenza , alla morte e al dolore. E a volte non vedi altro che questo. Invidi chi parla di stupidagini o chi si arrabbia per un conto sbagliato. E a volte pensi che per non soffrire troppo serva allontanarsi e diventare sfuggente, ma ti prego non farlo: tradiresti quel ragazzo che si è iscritto a medicina sognando di essere un grande nedico , tradiresti te e i tuoi pazienti. La medicina ci sta portando a essere superspecialistici in un settore, facendoci dimenticare cos’è essere un Medico: un medico si prende cura del paziente nella sua globalità, un medico ha tempo per il paziente e per la sua anima, perché una malattia distrugge un corpo, ma anche una vita e un’anima e se vuoi essere un medico allora devi prenderti cura di tutto. Non aver paura di essere in ritardo perché hai tenuto in ambulatorio un paziente un po’ di più perché aveva bisogno di parlarti della sua vita e di come adesso è diverso, non aver paura di perdere tempo se abbracci un paziente che piange o se entri in reparto e dici una parola di conforto a chi sta soffrendo, senza che te l’abbia chiesta. Non dire mai :” questa cosa non è di mia pertinenza…senta lo specislista” non farlo perché il paziente è di tua pertinenza , perché il paziente è il tuo paziente e ha bisogno di te come specialista , ma anche come medico e uomo. Alza il telefono e parla con il tuo collega e aiutalo a risolvere anche un problema che non riguarda la tua specialità perché prima di tutto siamo medici, siano persone che hanno creduto tanto nell’aiutare gli altri, che hanno messo molte volte da parte la propria vita a volte anche la propria salute: quanti di noi hanno finito guardie con la febbre o stando male? Quanti di noi hanno salutato i figli sapendo che li avrebbero rivisto il giorno dopo, sapendo di aver perso un’altro giorno della loro vita? E lo so che per noi mamme questo è ancora più duro, ma lo facciamo perché amiamo aiutare gli altri. Ascoltami, anche se adesso dobbiamo rendere conto dei minuti perché anche la sanità è un business, tu resta un medico , resta il medico che si ferma a parlare con i pazienti nel corridoio, che da una pacca sulla spalla al proprio paziente , che lo incoraggia , che lo chiama per nome , che non lo guidica quando non segue le tue prescrizioni ma che lo ascolta e cerca di fare un patto di alleanza con lui. Insomma sii il medico che vorresti davanti a te se tu fossi un paziente , sii l’uomo che avresti voluto incontrare nel momento del bisogno. Perché tutti, tu compreso, viviamo e combattiamo come riusciamo, con la nostra anima , il nostro corpo, i nostri sentimenti e il nostro passato. La malattia,che a volte ci stravolge la vita come un uragano, butta tutto all’aria e tu medico resti il solo che può ridare speranza a quella vita.
Ora posso consegnare a te il mio testimone e appendere lo stetoscopio al muro certa che quando ti incontrerò in ospedale vedrò un vero medico sotto il camice bianco: il medico che ero e che vorrei accanto nella battaglia contro la malattia o la morte, perché non c’è persona che ami di più la vita di un vero medico.
