Poco tempo fa ho rivisto i miei compagni della quinta A del liceo Tassoni.
Sono passati più di trent’anni da quei giorni di scuola dove ognuno di noi era tutte le possibilità possibili.
Sì, ognuno di noi è stato testimone di quella potenza di essere e divenire tutto ciò che volevamo.
Rivederli è stato come tornare a casa. Quella intimità che non scompare negli anni mai resta nell’aria mentre i racconti di ciò che siamo diventati si mischiano alle rughe dei nostri volti.
Nonostante i capelli bianchi siamo sempre noi e per un fugace infinito istante mi sono tornati in mente quei giorni di scuola . L’odore di matite e gomme, il rumore dei libri sfogliati e i bisbigli mentre il prof spiegava cose incomprensibili alla lavagna. I quiz per prendere la patente nascosti sotto i libri nelle ore di religione . I pomeriggi passati a cantare a squarciagola quella canzone che tanto diceva di te.
In quella serata eravamo la versione adulta di noi.
Per sempre complici delle cazzate fatte in quegli anni dove la vita era tutta fuori di casa.
Mentre tutta la mia adolescenza ritorna prepotente alla memoria mi chiedo come mai mi sia scordata di quella parte di me che tutto poteva essere.
Spogliata delle mie responsabilità di genitore e di adulto mi accorgo che ora sono le mie figlie a essere tutte le possibili possibilità. Non le avevo mai percepire così. Erano le mie difficili e ingombranti adolescenti da crescere.
E in quello strano momento ho invidiato i professori che ogni giorno stanno in mezzo a quelle infinite possibilità. Loro che con un sguardo, una parola possono fare la differenza per quel ragazzo che si è perso o non riesce a vedere quanto vale, perché quando si è adolescenti è facile perdersi nella propria ombra.
Quella sera lì ho abbracciati tutti, uno per uno e in quell’abbraccio eravamo di nuovo tutto quello che siamo diventati e tutto quello che potevamo essere.
Sì, perché una volta nella vita siamo stati tutti le infinite possibilità possibili.
