
Ecco il testo corretto:
Elisa era lì, il bip del monitor l’avvertiva che qualcosa non andava: bradicardia a 35 di frequenza. Accidenti, non mollare piccola! pensò prima di ordinare:
“Adrenalina: 1 fiala in bolo”.
L’infermiera annuì infondendo il farmaco nel piccolo deflussore, mentre un respiratore ritmicamente faceva alzare ed abbassare il gracile torace della bambina costringendola a respirare. Il giovane volto era cereo, gremito di piccoli cerotti: uno fissava il tubo orotracheale, che scompariva tra le labbra livide, altri due tenevano chiusi gli occhi, per evitare lesioni corneali, e uno molto più grosso fissava il catetere centrale, che si raccordava con svariati deflussori. Erano almeno in cinque tra infermieri e rianimatori in quella piccola stanza.
Di nuovo il suono dell’allarme del monitor: bradicardia a 31 di frequenza.
“Ma porca… non risponde più a nulla“ Elisa strinse spasmodicamente lo stetoscopio che aveva in mano, prima di iniziare il massaggio cardiaco.
“Ely, secondo me, non c’è più stoffa.” il blu intenso dei suoi occhi fissò il viso di Luca, che si era permesso di dire, a voce alta, ciò che tutta l’equipe stava pensando.
“Proviamo ancora, ha solo 6 anni, porca miseria!” ribatté fermandosi un attimo, mentre sul monitor l’allarme suonava ancora, con un suono sempre più insistente: bradicardia a 28 di frequenza.
Subito dopo prese a suonare anche l’allarme del respiratore, quello della saturazione e quello della pressione. Tutti gli allarmi erano accesi, tutti i farmaci possibili stavano continuando a entrare nel corpicino ormai esanime della piccola Giorgia.
“Non si può più fare nulla” a quella frase, detta da Luca, un infermiere spense gli allarmi mentre gli altri restavano in silenzio, immobili, aspettando che il tracciato diventasse piatto. Un altro infermiere spense il respiratore. Qualcuno si faceva il segno della croce e qualcuno rivolgeva a Dio una preghiera. Elisa fissava il volto di quella bambina, che poc’anzi aveva rassicurato con qualche carezza, prima di sedarla e intubarla.
Dannazione, non sono riuscita a salvarla! Anche se erano più di vent’anni che faceva il rianimatore ogni volta che un bambino non ce la faceva, per lei era un dolore immenso. Un dolore che lacerava le sue membra di donna, di mamma, di medico.
“Ora del decesso 10,45” Ecco lo aveva detto.
Luca le diede una pacca sulla spalla e le infermiere iniziarono le manovre per ricomporre la salma, prima di farla vedere ai genitori. Fuori, in attesa.
“Ce la fai Ely o vado io?” Luca la stava guardando capendo cosa provava la sua amica e collega, perché per tutti era così, sempre.
“Ce la faccio.” raddrizzò le spalle e ricacciò indietro le lacrime.
Si tolse i guanti e il camice verde e dopo essersi lavata le mani spinse il bottone nero accanto alla porta, che si aprì inondando il suo volto della luce accecante del sole. In rianimazione le finestre erano oscurate e si viveva giorno e notte con le luci artificiali, con il rumore ritmico dei respiratori e dei monitor. Lì fuori c’era il silenzio assoluto dell’attesa, il tepore del sole che cullava l’ansia e il dolore dei parenti.
Elisa, riaperti gli occhi, guardò i due poveri genitori, seduti. Sapeva già cosa sarebbe successo, lo aveva vissuto mille volte e ogni volta la stessa tortura.
Loro si alzarono guardandola, cercando nei suoi occhi la risposta alla domanda che per ore li aveva tenuti fermi, su quella seggiola.
“Mi dispiace tanto, ma Giorgia è peggiorata in queste ultime ore e l’abbiamo rianimata finché il suo corpo ha ceduto. Il tumore era troppo avanzato e il cuore non ha retto.“
Il viso della madre si era trasfigurato in una maschera di puro dolore: degli occhi rimanevano solo lacrime e delle labbra solo urla di rabbia e angoscia. Il marito cercava di sorreggere il corpo della moglie e allo stesso tempo vi si aggrappava, mentre continuava a fissare gli occhi di Elisa.
Li accompagnò nella stanzetta di Giorgia che ora sembrava dormire serenamente senza più tubi che la torturavano. Due sedie erano state messe accanto al letto, come sempre. La madre prese a baciare il viso della figlia, a scaldare le manine gelide, come se volesse donarle la vita per la seconda volta.
“Se avete bisogno… siamo qui fuori. Condoglianze“ la sua voce si perse nella stanza prima di uscire.
Prese fiato, provò a respirare a pieni polmoni, ma l’aria non riusciva a entrare e si sentì soffocare.
“Esco a fumarmi una sigaretta. Prendo il cicalino“ la sua voce era di nuovo ferma, decisa mentre parlava con le infermiere.
Senza deciderlo si trovò davanti alla piccola cappella dell’ospedale. Non c’era nessuno, così si sedette su una panca e rimase lì, aspettando di rimettere in ordine quel magma che le bruciava nel petto.
“Dottoressa Fantoni, come sta?“ Don Mario, il parroco dell’ospedale, era una persona dai modi affabili e dall’intelligenza fine.
“Don Mario, buongiorno“ Elisa evitò volontariamente di rispondere alla sua domanda, perché non ne aveva una.
“Posso?“ disse
il parroco sedendosi accanto a lei. Elisa annuì.
Lasciò passare qualche momento poi chiese
“È morta Giorgia, vero?“ Elisa annuì di nuovo stupendosi, ancora una volta, di come facesse a sapere sempre cosa succedeva nell’ospedale. Forse lo avvertiva direttamente Dio.
“Don Mario, mi dice perché Dio permette tutto questo?“ si girò a guardarlo, non riusciva più a trattenere quella rabbia cieca, di chi si sente impotente di fronte alla vita e alla morte.
“Mi scusi, se lo dico, ma proprio non capisco perché possa permettere tutto questo! Era solo una bambina, una bambina di 6 anni!“
Don Mario continuava a restare in silenzio: ascoltava con le orecchie le parole di Elisa e con il cuore il suo tormento.
“Non ci sono riuscita a salvarla, non sono riuscita a ridare Giorgia ai suoi genitori“ si chiuse le orecchie come se volesse non sentire più le urla strazianti di tutti quei genitori a cui aveva dovuto dire che il loro amato bambino era morto.
“Non potevi salvarla. Nessuno avrebbe potuto e lo sai“
“Dov’ era Dio mentre provavamo a salvarla? Perché Dio ha permesso che morisse?“
“Dio non può fare niente contro le malattie o gli incidenti. Questa è la natura umana: fragile e precaria. Lui può solo metterci accanto persone che ci aiutino a percorrere la nostra strada“
“E come può aiutare quei due genitori devastati dalla morte della figlia? Mi dica dov’è Dio in tutto questo?“ aveva alzato involontariamente la voce e i suoi occhi ora sembravano sfidare gli occhi sereni di quel sacerdote.
“Lo so che sei arrabbiata, lo so che è dura accettare queste disgrazie, ma credimi Dio è proprio qui: accanto a me, a te e a quei poveri genitori“ lasciò che lo sguardo della donna vagasse per la chiesetta, poi continuò
“Dio ha messo te, vicino a Giorgia, per aiutarla a fare quest’ultimo viaggio senza aver paura. E sono sicuro che Dio è vicino a quei genitori, che li aiuterà a sopportare quel dolore, magari mettendoli accanto delle persone.“
“Con tutto il rispetto, non lo so più se quel Dio, di cui lei è così sicuro, esista davvero“.
L’enorme croce di legno, appesa dietro all’altare, veniva illuminata da qualche raggio di sole che filtrava furtivamente tra le tende. Lo sguardo di Elisa si fermò lì a guardare quei due pezzi di legno.
Don Mario seguì il suo sguardo “Quella croce ci ricorda che la nostra strada non è priva di dolore, che ognuno di noi ha una sua croce da portare“ le prese una mano “ma Dio c’è sempre ad aiutarti a portarla, a volte mettendoti accanto chi ti alleggerisce il peso, a volte reggendola lui stesso. Credimi Dio è amore e l’amore è ovunque, anche nelle disgrazie.“
Lei sorrise. “forse ha ragione Lei, ma sono così arrabbiata ora che non lo vedo e non lo sento più da nessuna parte“.
“Lo sentirai, quando la tua rabbia te lo permetterà“
“Ora vado, grazie“ Il capo del parroco, dai capelli brizzolati, annuì, poi, senza girarsi verso di lei, aggiunse
“tu non sei Dio“
“cosa?“ Elisa lo guardò senza capire.
“Sei un bravissimo rianimatore, ma non sei Dio, perciò ricordati che puoi salvare solo chi è salvabile.“
“A volte vorrei poter fare miracoli“ rispose uscendo dalla chiesa, poi girandosi verso quell’uomo aggiunse “Non so se c’entra Dio oppure il caso, ma sono felice di averla trovata qui.“
Tornata nello stanzone dai mille allarmi ritmici, dall’odore di disinfettanti misto all’odore di morte e di vita chiese a Luca
“Come va di là?“ indicando la piccola stanzina.
“Un po’ meglio. Per fortuna hanno altri figli che li costringeranno a sopravvivere a Giorgia“.
Forse era quello il modo di Dio di salvarli: aver messo accanto a loro altri figli da amare.
“Dottoressa Fantoni! Dottor Ruggero!“
I due si girarono e videro sul monitor una fibrillazione ventricolare
“Oh cazzo!“ esclamò Luca alzandosi. Elisa si mise i guanti e seguì correndo il collega.
Quelle erano le loro giornate e forse quello era il loro modo di aiutare Dio.
